venerdì 21 febbraio 2014

Contronatura.

Mi piegai per entrare nella tenda. NMazzantini. ra gia accaduto, molto tempo prima. Ε davvero non c'era bisogno di coraggio.
Mi stesi e respirai quell'odore di plastica, fermo da dieci anni e più, guardai il tessuto con i segni delle pieghe, Ie zip. Fuori era blu, dentro era arancione, una canadese. Mi stesi sotto quella volta arancione come sotto il più grande dei cieli. Me ne stetti lì beato come un neonato in quel ventre di plastica, stesi Ie braccia e toccai Ie pareti, ero cresciuto.
L'acheo era li, scolpito, impolverato di sabbia, il cranio nudo come un elmo e quella faccia da bambino. Non entrava. Fui io a chiamarlo.
- Entra.
- Posso?
Si chinò e scivolo dentro, accanto a me. Restammo un pezzo così, I'uno accanto all'altro. Mi sollevai e tirai giù la zip, tornai a stendermi gli presi la mano e gliela tenni, ed era bagnata perché faceva molto caldo. Aveva montato quella tenda, aveva saputo cosa fare.Ci fu un silenzio grave, eppure spensierato, perché nulla più era difficile per me.
Mi voltai appena con il collo e ci guardammo con nuovi occhi, svelati e assolutamente perfetti. Ε io sollevai la mano e gli carezzai il volto e ci baciammo e assaggiammo uno la saliva dell'altro e il calore della bocca e il fresco dei denti e io sentii come muoveva la lingua, con più pace di me, e io divenni più lento, ed era esattamente come doveva essere, come il rifugio, un lungo tunnel che arrivava direttamente al centro di me stesso e tirava tutto il corpo e tutto quello che c'era oltre il corpo, e tutto era risucchiato e aveva un posto preciso. Ε non so come andammo avanti, ma non fu affatto difficile. II suo collo si tese come una frusta, come frustato, come il lungo collo di un cavallo senza più redini e uomo, la sua bocca s'apri, e non avevo mai visto una bocca più grande, in un urlo più silenzioso e travolgente. Mi teneva la mano sulla nuca, batteva la sua fronte contro la mia, rideva e piangeva, e diceva il mio nome e amore, amore mio. Ε sentivo che niente, mai più, sarebbe stato uguale a quel momento. Ε non sapevo che fosse così domestico e così selvatico.
E davvero accadde, e fu contro natura, e davvero vorrei sapere cos'è la natura, quell'insieme di alberi e stelle, di sussulti terrestri, di limpide acque, quel genio che ti abita, che ti porta a fronteggiare a mani nude Ie tue stesse mani e tutte Ie forze del mondo.
Allora fu natura, la nostra natura che esplose e trovò l'espressione più dolce e benevola. Ci trovammo. Come il vento che organizza il mondo, lo rade al suolo e lo riedifica lentamente. Costantino non voleva, neppure io volevo, almeno così credo di ricordare. Ma cosa so io, che poi la vita e il suo desiderio non abbiano contraddetto? Dolcemente caddero i suoi abiti come armature che si liquefanno. I suoi ruvidi vestimenti di ragazzo. Lui grosso, io magro, lui povero, io figlio di misera gente benestante. Mi guardò, i suoi occhi parevano cadere, appartenuti a molti altri uomini prima di lui, soldati morti in battaglia, monaci, assassini, eremiti. Ε adesso solo i suoi.
- Ti amo - dissi, - ti amo.
- Anch'io ti amo, Guido, da sempre.
Stupiti ci sollevammo in quel cielo di plastica arancione, ci piegammo come uomini sulle messi e raccogliemmo il nostro grano in quell'immenso splendore.

Quando uscimmo dalla tenda la spiaggia era un nuovo mondo.
Ero semplicemente io, ricongiunto a me stesso. Facemmo il bagno e ormai imbruniva e Ie nostre gambe erano delicate, come due animali messi dritti da poco, e fu un bagno lenitivo, ci lasciammo cullare e l'acqua sembrava il nostro universo.
Poi restammo vicini sul bagnasciuga, a toccarci Ie mani nel mare che scendeva e saliva. Ε furono momenti infiniti perché ogni cosa tornava e passava, perché Ie nostre mani nell'acqua venivano sepolte dalla sabbia e poi pulite, e quella sabbia era la vita, la prima volta che arrivò dal mare e si depositò: era lì nelle nostre dita.
- Adesso siamo noi.
- Noi, si.
Ε non dicemmo altro, passammo il tempo a guardarci e a sorriderci. Ci si innamora quando si fa l'amore, la carne è l'unica spiaggia che Ie anime hanno. La sabbia era vergine alle nostre spalle e noi l'avevamo attraversata. Potevamo vedere Ie impronte lasciate dai nostri piedi, una colonna di palme e dita su quelle dune che adesso sembravano davvero la luna. Non facemmo nessun piano, fu subito tardi e lui perdeva il treno, e gli avrebbero dato i giorni, tolto Ie licenze. Si rinfilò la divisa sulla spiaggia, inciampando, la sabbia nelle scarpe. Sradicammo la tenda e la buttammo nello zaino. Poi quel viaggio di ritorno, pieno di moscerini e di luci e di sbandate sulle strisce dei tram, e io non avevo nemmeno la miscela e i distributori erano chiusi. Arrivammo col singhiozzo in fondo a via Nazionale, lui salto giù e corse e basta. Tornai verso casa a piedi nudi spingendo il motorino. Nella camera di mia madre c'era ancora il copriletto gualcito del mattino quando era stata portata via, mi stesi esattamente lì, sulla sua forma. Presi il suo cuscino, me lo misi tra Ie gambe e mi addormentai su quel fianco, beato.

dal libro "Splendore" di Margaret Mazzantini. 
Fotografia di Ryan Mcginley.

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